Alle nove in punto scatta l'allarme, ma il mostro dorme
APPENNINO
ROMAGNOLO (11 set. 2003) - Alle nove in punto, nell'aria ancora fredda
del mattino, mentre gli ambulanti allestivano le bancarelle dei
mercatini paesani e gli ultimi turisti rifinivano l'abbigliamento per
la passeggiata di buon'ora. Proprio in quel momento, il guizzo
improvviso di un allarme ha risalito valli e montagne, strade, borghi e
città, e si è concentrato proprio qui, tra le colline segnate appena
dall'autunno, dove i confini dell'Emilia Romagna si fondono con quelli
delle Marche. A innescarlo, è stato uno scossone immaginario, lungo e
terribile, che nessuno ha quindi avvertito, ma che ha ugualmente messo
in moto centinaia di uomini e di mezzi, tutti impegnati in una
gigantesca «Operazione sisma» dallo scenario angosciante e un po'
frenetico di ogni terremoto vero, stavolta comunque in parte
«recitato», ieri e oggi, da un buon numero di figuranti ora nei panni
di feriti da soccorrere, ora in quelli di malati da trasferire, o di
alunni da portare, in fretta, lontano dalle pareti di una scuola a
rischio.
Lo scopo dell'esercitazione riassunta nell'etichetta «Forlivese 2003»
era quello di sperimentare le capacità di intervento davanti a
un'emergenza concreta in un'area che si allunga lungo la valle del
Bidente fino alla diga di Ridracoli, spaventosa, affascinante e
spettacolare, seconda in Europa per capienza, con i suoi 40 milioni di
metri cubi di acqua. Eppoi, da queste parti, il sottosuolo ha umori
bizzarri e dallo scrigno dei suoi misteri risulta spesso
minacciosamente inquieto. E infatti resistono nell'animo di tutti, a
Santa Sofia, a Spinello e nelle zone vicine, i tre scossoni in sequenza
di gennaio, e la catena di botterelle di assestamento che ancora adesso
provocano sussulti e piccoli brividi di paura.
Per questo, alla riunione presieduta dal dottor Salvatore Montanaro,
prefetto di Forlì, c'erano tanti addetti ai lavori, e ognuno di loro ha
messo sul tavolo il proprio contributo, quando l'allarme si è allargato
da un punto all'altro, in una brutta macchia giallastra che, sulla
mappa del territorio, delimitava l'epicentro tra Bagno di Romagna e
Santa Sofia, interessate da un ipotetico scossone dell'ottavo grado
della scala Mercalli, magnitudi 5,5 della Richter.
E allora, dalla cabina di regia della Prefettura, tra mappe, computer,
schermi e filmati, l'«operazione sisma virtuale» ha mobilitato la
Protezione Civile, i Vigili del Fuoco, la guardia di Finanza, la
Forestale, la Polizia e i Carabinieri, i Radioamatori, i Volontari, gli
Alpini e le unità di soccorso dell'Emilia Romagna, delle Marche,
dell'Umbria e della Toscana, ed ha subito puntato verso le sagome dei
monti ancora spenti dalla foschia. E così, sono come fioriti, a Santa
Sofia, il campo base della colonna mobile e poco più in là, a Bagno,
oltre il passo del Carnaio, quello per l'assistenza alla popolazione.
E allora, per tutto il giorno, il rombo degli elicotteri in volteggio e
in planata, le tende allestite, le ambulanze incolonnate e
l'andirivieni di divise e di mezzi hanno suscitato, insieme, un moto di
contenuta curiosità, ma anche la sensazione di un vago malessere al
ricordo delle furie improvvise del sottosuolo e in particolare delle
interminabili tirate nel buio, l'una quasi agganciata all'altra, mentre
moriva un giorno di gennaio.
Il bilancio dell'allenamento sisma registra dati significativi: oltre
300 uomini impegnati in un'area allargata alle comunità montane di
Novafeltria e di Carpegna, soccorso a «40 feriti» , evacuazione di un
ospedale e, ancora, di due scuole a Casteldelci e a Novafeltria.
Insomma, un piano di emergenza portato avanti con scrupolo ed
efficienza, un passo dopo l'altro, sulla testa di un mostro che dormiva