SOS Po, la morte in diretta di un fiume

Data: 17/07/2007
Fonte: Emilianet
Tag: fiume po 

PARMA (16 Lug. 2007) - L'acqua del Po sta diminuendo e, complici i cambiamenti climatici e l'aumento delle richieste soprattutto per l'agricoltura, il suo corso rischia di fermarsi a 100 chilometri di distanza dalla foce, nel ferrarese. E' l'allarme lanciato a Parma, in un convegno sugli effetti del clima sul bacino del Po organizzato dall'Apat (Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici) insieme con Arpa Emilia-Romagna e le altre agenzie padane per conto del ministero dell'Ambiente, in vista della conferenza nazionale sui cambiamenti climatici prevista il 12 e 13 settembre a Roma.

La portata del principale fiume italiano - il cui bacino si estende su un quarto del territorio nazionale, coprendo sei regioni e 3200 comuni dove si concentra il 40% del pil nazionale - è calata del 20-25% negli ultimi trent'anni (circa 1500 metri cubi al secondo contro gli storici 1800), per cui ogni dieci litri di acqua che arrivavano in precedenza alla foce, oggi mancano all'appello oltre due litri. Colpa in parte dell'aumento delle temperature medie, e quindi della maggiore evaporazione, e in gran parte dei maggiori prelievi. Un trend che, secondo gli esperti, è destinato a peggiorare per via delle piogge, diminuite del 15-20% nel bacino del Po nell'ultimo trentennio e in media del 10% sull'intero Paese.
La situazione degenera nei periodi più caldi, quando la portata può scendere fino a 180 metri cubi d'acqua al secondo, che non bastano nemmeno a raffreddare gli impianti di Porto Tolle, una delle maggiori centrali elettriche italiane. Il rischio quindi, secondo Stefano Tibaldi, direttore del Servizio idrometereologico dell'Arpam è che "a breve, per qualche giorno all'anno e negli anni più sfortunati si potrebbero avere risalite molto consistenti, a maggior ragione se il mare fosse molto alto, ad esempio in caso di acqua alta a Venezia. Vent'anni fa questo non succedeva mai, negli ultimi cinque anni è successo già due volte".

In via di estinzione colture di riso e mais

Il convegno organizzato dall'Apat fa il punto della situazione dell'agricoltura che dipende dal grande fiume e che è sempre più assetata. Questo settore beneficia del 73% dei prelievi dal Po, per questo è quello più a rischio nel medio termine, tanto che, per effetto dei cambiamenti climatici e in mancanza di politiche agricole adeguate, si dovranno abbandonare progressivamente le colture che richiedono più acqua come riso, mais e kiwi.
Secondo i dati dell'Autorità di bacino ogni anno 2,5 chilometri cubi di acqua del grande fiume sono destinati a uso potabile, pari al 11% del totale, il 73%, come dicevamo, va all'agricoltura (16 chilometri cubi e mezzo), l'8,9 per usi elettrici e il 6,7% destinato all'industria.
Al drammatico fenomeno della diminuzione dell'acqua del Po, va ad aggiungersi il discorso sulla condizione della rete idrica che risulta essere un mezzo colabrodo. Gli studi condotti sulla rete degli acquedotti padani dimostrano che su ogni 1000 litri di acqua prelevata, 40 si perdono al momento dell'immissione in rete, 200 nelle condutture e 150 in fase di distribuzione. Risultato: di 390 litri d'acqua non c'è più traccia perché si infiltra nel terreno.
Diventano difficoltose quindi le irrigazioni dei campi, che in stagioni particolarmente secche richiedono circa il 15% di acqua in più. Una soluzione può consistere nel pianificare in modo più razionale questa risorsa, adottando sistemi irrigui più efficienti e individuando specie vegetali meno esigenti di acqua. Per effetto degli 'scompensi' climatici a rischio, secondo Lucio Botarelli, agrometerologo dell'Arpa Emilia-Romagna, anche le colture non irrigue come il grano, diffusissimo nella pianura padana: il ciclo vegetativo può accorciarsi e quindi i cereali hanno meno giorni a disposizione per accumulare sostanza secca nella spiga (la parte commestibile).

"Una stagione insolitamente tranquilla per la sicurezza idraulica: rafforziamo la guardia"

"Non perdiamo di vista l'alta criticità idrogeologia dei nostri territori" accolgono l'invito del presidente dell'Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni (Anbi) Massimo Gargano, le tre bonifiche emiliane che operano nel bacino idrografico di Enza, Secchia e Po. Scenderanno così a Roma, all'assemblea dell'Anbi, mercoledì 11 luglio, Ada Giorgi, Emilio Bertolini e Marino Zani presidenti dei Consorzi di Bonifica Terre dei Gonzaga (con sede a Mantova), Bentivoglio Enza (con sede a Gualtieri) e Parmigiana Moglia Secchia (con sede a Reggio Emilia).
"La nostra opera spazia tra le province di Modena, Reggio Emilia, Parma e Mantova - spiegano i presidenti -. Anche in un anno di relativa calma idrogeologica, non possiamo perde di vista le emergenze che, ogni giorno, dobbiamo prevenire. Si consideri che dal 1951 al 2003, in Italia, sono stati spesi 15 miliardi di euro per riparare i danni da frane e inondazioni. Ogni anno parte del nostro bilancio e della progettazione che attinge a finanziamenti pubblici, è proprio destinato a opere di sistemazione idraulica per scongiurare e prevenire danni da esondazioni, frane allagamenti. Ma l'appello che rivolgiamo a tutte le istituzioni è di operare maggiormente per spostare l'azione proprio sulla prevenzione, piuttosto che sugli interventi a emergenze avvenute. Questo in particolar modo sia per la pianura che per la montagna".
"Nonostante nei mesi scorsi non si siano verificate particolari emergenze legate ad eventi calamitosi - si legge in una nota della relazione dell'Anbi - che abbiano determinato alluvioni di rilevanza nazionale, l'attenzione di governo e Parlamento ai problemi della difesa del suolo si è molto attenuata".
"La sicurezza idraulica dei nostri territori emiliani - spiegano i direttori dei consorzi di bonifica Laerte Manfredini, Vito Fiordaligi e Salvatore Vera- non ha ancora raggiunto quel grado di sufficiente di cui la società si attende, perché esistono ancora aree vulnerabili a fronte di eventi atmosferici anche di non eccezionale gravità. I Consorzi di Bonifica per questo hanno, ogni anno a bilancio, studi per individuare le aree sofferenti e progetti e opere per attutire queste criticità. Sappiamo che occorrono interventi di sistemazione agroforestale, idraulica e bonifica per evitare i ricorrenti dissesti o le esondazioni, con la consapevolezza che il rischio idraulico, per sua definizione, non è totalmente eliminabile. Il territorio sul quale operiamo è particolarmente vasto, per un complessivo di 364.300 ettari in 94 comuni a cavallo di quattro province: abbiamo gli strumenti per lavorare in questa direzione anche se siamo chiamati a fronteggiare un clima dai connotati sempre più tropicali, mentre l'urbanizzazione e la cementificazione di aree ogni anno più estese rendono il territorio sempre più fragile, alzando il livello del rischio idraulico che grava sulle proprietà non agricole".

Questo contenuto è stata visualizzata 989 volte