Costruire in zone sismiche: una sfida complicata

Data: 28/10/2023

Autore: Daniele Montorsi 

È noto ormai a tutti che gli eventi sismici, cioè i movimenti della crosta terrestre, sono una normale conseguenza della “vita” del nostro pianeta. Sono fenomeni naturali causati dal fatto che le diverse porzioni di crosta terrestre (placche tettoniche) in perenne movimento sul magma (strato di rocce semifuse che si sviluppa per una profondità di circa 2.900 Km), sviluppano forze contrastanti che, quando arrivano al punto di rottura (ipocentro), liberano l’enorme quantità di energia accumulata. Questa si scarica in superficie (epicentro) con un tremore che spesso è percepito soltanto dagli strumenti sismici, ma molte volte anche dalle persone. Di terremoti è “piena” la terra al punto che, giornalmente, soltanto quelli con una magnitudo da 4.5 gradi Richter in su’, vengono ritenuti rilevanti: viceversa, senza questo limite convenzionale, sarebbe impossibile contarli tutti.

I terremoti non sono prevedibili, per cui è importante capire in che modo l’energia liberata agisce sugli oggetti in superficie e quindi anche sulle nostre case. Lo scuotimento del suolo avviene in modo complesso e proprio di questa complessità ci ha parlato ampiamente l’Ing. Giovanni Manieri, già dirigente del rischio sismico alla Regione Emilia Romagna, che abbiamo ospitato mercoledì 25/10. Attraverso l’utilizzo di una Tavola Vibrante, apparecchiatura realizzata dai ragazzi dell’Istituto Aldini Valeriani di Bologna, presso il quale l’Ing. Manieri, ora in pensione, collabora come divulgatore scientifico, abbiamo potuto osservare le deformazioni che un sisma causa ad una struttura.

Alcune considerazioni possono aiutarci a capire meglio questa complessità.
Il moto, cioè la risposta dell’edificio alle sollecitazioni sismiche, è regolato da due elementi strutturali: massa e rigidezza.
La massa è il peso della struttura: maggiore è il peso, maggiore sarà la sollecitazione che riceve dal sisma; stessa cosa se il peso è posto in alto rispetto al suolo. La massa, per il principio di inerzia, tende e rimanere ferma mentre il terreno sottostante si sposta. Ciò causa, all’interno della struttura tensioni e deformazioni che possono causarne anche il collasso.
La rigidezza è la resistenza della struttura ad una forza applicata. A volte la necessità di avere delle ampie aperture (ad esempio le vetrate per negozi al piano terra, ovvero un parcheggio), diminuiscono la rigidezza dell’edificio rendendolo più debole.
Gli edifici sono generalmente pensati e costruiti per sostenere carichi verticali ossia carichi soggetti alla gravità, rivolti verso il basso. Ma il sisma, in buona parte, agisce con spinte orizzontali per cui se le pareti dell’edificio si comportano in maniera indipendente tra loro o meglio non sono collegate le une alle altre a formare uno “scheletro”, una struttura dove travi, pilastri e solai, sono uniti tra loro, anche costruzioni molto resistenti ai carichi verticali, possono collassare.
Infine non sono da trascurare le caratteristiche geologiche del punto in cui si sviluppa un terremoto (ipocentro) e del terreno sottostante l’edificio, perché vanno ad incidere sulla durata, ampiezza di spostamento, velocità e accelerazione, direzione di vibrazione e frequenza dello scuotimento, intesa quest’ultima come numero di cicli completi di vibrazione compiuti dall’onda in un secondo. Tutti elementi che hanno una maggiore o minore rilevanza sugli edifici colpiti.

Per tutte queste considerazioni, necessariamente incomplete, è quanto mai importante ed attuale, l’analisi sismica delle strutture che si andranno a costruire: studio sicuramente complesso ma anche affascinante perché interdisciplinare, in quanto coinvolge varie discipline quali la geologia, la scienza dei materiali, la matematica, la fisica, l’ingegneria e anche la storia del territorio: infatti là dove si è verificato un terremoto, può sempre riproporsi.

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