Data: 12/04/2024
Autore: Sara Ballotta
In questo secondo incontro dedicato a Modena e ai suoi corsi d’acqua, l’Arch. Carla Ferrari e la Dott.ssa Stefania Asti ci hanno parlato della prevenzione del rischio idraulico nella pianificazione urbanistica, in particolare portando l’esempio di due comuni modenesi, Bomporto e Nonantola, entrambi interessati da recenti alluvioni, per i quali degli studi approfonditi hanno determinato le misure di prevenzione adottabili.
In entrambi i casi, le carte di pericolosità idraulica già esistenti sono state integrate da studi più puntuali sul territorio, in particolare effettuati grazie alla collaborazione con l’Università di Parma. Le nuove tecnologie hanno potuto simulare, in modo estremamente preciso e dettagliato, alcuni scenari di pericolosità idraulica a seguito di rotte arginali, determinando esattamente fino a dove può arrivare l’acqua, in quanto tempo e con quale profondità.
Nel caso di Nonantola, tale studio era stato completato poco prima della rotta del Panaro del dicembre 2020 e, sebbene non ci fosse stato il tempo materiale di adottare delle misure di prevenzione previste dal piano, è stato comunque possibile prevedere in tempi rapidi quale sarebbe stato il comportamento dell’acqua in modo da intervenire tempestivamente con azioni di mitigazione del danno.
I piani urbanistici che tengono conto della pericolosità idraulica del territorio sono anche molto utili per determinare le misure da attuare per la riduzione del rischio.
Ad esempio, evitare di edificare in aree ad elevata pericolosità, oppure costruire edifici privi di garage interrati (o seminterrati) e dotati invece di scale interne per raggiungere i primi piani in sicurezza.
Sul territorio invece è possibile realizzare opere e manufatti o rafforzare gli argini: il Comune di Bomporto, ad esempio, ha scelto di acquistare una barriera antiallagamento temporanea, da installare al bisogno in punti strategici.
Proprio la scorsa domenica, i nostri colleghi del Gruppo Comunale di Bomporto si sono cimentati in una utilissima esercitazione per la posa di tali barriere.
I nuovi studi infine evidenziano chiaramente che la fragilità del nostro territorio non è data tanto dalla presenza dei fiumi maggiori, Secchia e Panaro, ma piuttosto dalla inadeguatezza della rete di bacini secondari presente nei nostri territori, che non è più in grado di raccogliere, far defluire e gestire le acque come faceva un tempo. Ciò è dovuto certamente ai cambiamenti climatici, che rendono sempre più frequenti le forti piogge, ma soprattutto alla eccessiva urbanizzazione dei centri abitati e alla conseguente impermeabilizzazione dei terreni che impedisce all’acqua di defluire con facilità.
Tutte queste osservazioni devono necessariamente essere considerate all’interno dei Piani urbanistici dei Comuni.
Le città devono essere in grado di assorbire e gestire l’acqua dove cade, creando depressioni, zone permeabili in cui l’acqua possa essere assorbita (“giardini della pioggia”), drenando e depurando l’acqua per poi restituirla lentamente al bacino o al sottosuolo.
Non è più possibile pensare solo a fare scorrere via l’acqua il più velocemente possibile, passando semplicemente la palla a chi si trova più a valle.