Data: 01/07/2024
Autore: Daniele Montorsi
Poteva essere un incontro come gli altri, quello di sabato scorso: uno dei tanti che in questi anni, abbiamo tenuto e teniamo in tutti quei luoghi dove veniamo chiamati per sensibilizzare la popolazione sui rischi più frequenti presenti sul nostro territorio (principalmente alluvioni e terremoti) e sulle “buone pratiche” che possono mitigarne le conseguenze negative.
Per l'occasione, nel nostro abituale modulo esplicativo, abbiamo inserito un rischio in più: il rischio fluviale che Gianluca Ugoletti (Coordinatore della Squadra Sicurezza Fluviale “Le Nutrie” della Consulta di Modena) ha trattato con la consueta competenza e chiarezza.
Tutta la storia italiana, si è sviluppata intrecciandosi nel rapporto non solo con il mare (il Mare Nostrum di latina memoria) ma anche con grandi fiumi come il Po, il Tevere, l’Arno solo per citarne alcuni. Anche il nostro territorio, non ne è stato immune, per la presenza di Secchia, Panaro e dei vari torrenti e canali che danno vita al cosiddetto “reticolo minore”.
La nostra gente, da sempre, si è rapportata ai fiumi che portavano benessere ma anche rischi e a volte (con le inondazioni) anche tanti danni e dolori, in un rapporto di rispetto-consapevolezza dei pericoli, che negli ultimi decenni evidentemente si è perso, a giudicare dal numero sempre maggiore di incidenti, spesso mortali, che hanno proprio i fiumi come scenario.
L'ultimo, ma solo in ordine temporale, il ragazzo di 19 anni affogato nell'Enza pochi giorni fa. In questo senso, parlare di “rischio fluviale” diventa un'ottima occasione per fare prevenzione e per favorire una maggiore consapevolezza, in coloro che vivono il fiume come ambiente di vita o più semplicemente ricercano in esso refrigerio dalla calura estiva.
In altro articolo, approfondiremo i temi trattati da Ugoletti, perché in questa pagina vogliamo sottolineare l'elemento che ha reso la serata veramente unica: l’essersi svolta presso i locali della Moschea di Via delle Suore, ospiti della comunità islamica della nostra città che l'ha fortemente voluta e ci ha accolti con tanta amicizia e ospitalità.
Sorrisi franchi, strette di mano, una comprensibile reciproca curiosità, il profumo del thé alla menta e di ottimi dolci dai sapori esotici, ma soprattutto la recita della preghiera della sera, un “tempo” prezioso e speciale, caratterizzato da grande raccoglimento, che ha coinvolto anche noi che, pur di altra religione, non potevamo rimanere indifferenti alla atmosfera di intimità e partecipazione presente nella sala della preghiera dove penombra e decorazioni arabescate, contribuivano al raccoglimento.
Davanti ai nostri occhi, ha iniziato a svelarsi tutto un mondo, poco conosciuto ai più, un mondo che spesso interpretiamo sbrigativamente con banali semplificazioni che non tengono conto della ricchezza e della varietà delle anime e culture riassunte nella parola “Islam”. Un mondo che a volte stentiamo ad inserire nella categoria “nostri concittadini” e conseguentemente ad avvertire come compartecipi nella costruzione e custodia del territorio e di relazioni umane più solide e vere.
È innegabile che in quasi cent'anni di storia, siamo passati da una società contadina, fortemente autoreferenziale nei suoi riti antichi, ad una società multietnica attraversata dal soffio, a volte tumultuoso, delle sfide ma anche delle contraddizioni che questo cambiamento ha comportato e comporta.
In questo contesto, serate come questa, possono diventare occasioni per costruire ponti, stringere relazioni, guardarci negli occhi scoprendo quel destino comune che unisce tutti quanti noi, pur avendo storie e prospettive diverse.
Volenti o no, le nostre vite sono strettamente collegate tra loro e la consapevolezza di questo, e cioè che non siamo soli di fronte alle sfide del mondo e ai problemi causati da una Natura troppo spesso violentata, dovrebbe aiutarci a costruire quella rete relazionale che rende forte e coeso un Paese mettendolo al riparo dalle suggestioni mai sopite, di quelle forze che invece vorrebbero riportarlo a tempi passati, dei quali non si sente proprio la mancanza.